El Jockey di Luis Ortega offre una narrazione intrigante e complessa, esplorando il tema dell'identità attraverso il protagonista Remo.
Argomenti trattati
Il film “El Jockey”, diretto da Luis Ortega, si propone di immergerci nelle sfide dell’identità e nella ricerca personale attraverso un linguaggio cinematografico che mescola sapientemente elementi di thriller e drammaturgia interiore. La trama segue le vicende di Remo, interpretato da Nahuel Pérez Biscayart, un personaggio che si confronta con i propri demoni in un viaggio che, sebbene inizi con premesse intriganti, rischia di perdersi tra il desiderio di innovare e la tentazione di adagiarsi su uno stile collaudato, evocando le opere di registi come Aki Kaurismäki. Ti sei mai trovato di fronte a un film che promette tanto ma lascia alla fine una sensazione di incompletezza?
La pellicola si apre con una corsa tra un cavallo e un cane, una metafora potente del conflitto tra ambizione e vulnerabilità. Tuttavia, il ritmo del film sembra restare un po’ in superficie, soprattutto quando si tratta di sviluppare i personaggi secondari. Prendi ad esempio la figura di Abril, interpretata da Úrsula Corberó: il suo personaggio, pur avendo potenzialità, resta in secondo piano, sacrificato sull’altare dell’introspezione di Remo. Questo focus esclusivo sulle esperienze del protagonista limita la possibilità di un’esplorazione più profonda delle dinamiche relazionali che avrebbero potuto arricchire la narrazione. Non trovi che una buona storia richieda anche personaggi ben sviluppati?
Ortega, noto per la sua abilità nel sondare le complessità delle relazioni umane, sembra in questo caso perdere di vista l’equilibrio necessario tra bellezza e dramma. La ricerca di Remo della sua identità, pur essendo il fulcro dell’opera, non riesce a coinvolgere il pubblico come avrebbe potuto, lasciando molte domande senza risposta. È come se ci fosse un potenziale inespresso che aleggia nell’aria, rendendo la visione del film un’esperienza in parte insoddisfacente.
“El Jockey” si distingue per una direzione artistica che riflette un desiderio di innovazione, ma che finisce per ripetere modelli già visti. Ortega sembra ritrovare un rifugio nelle scelte stilistiche di Kaurismäki, come evidenziato dalla fotografia di Timo Salminen. Le inquadrature fisse e i silenzi prolungati, pur evocando una certa profondità, a volte ostacolano la fluidità della narrazione. La competizione tra il cavallo e il cane da corsa, simbolo di sfida e ricerca interiore, si interrompe bruscamente, lasciando il pubblico con un senso di attesa mai soddisfatta. Ti sei mai chiesto se il silenzio possa parlare più delle parole?
Ortega ha dimostrato in passato una notevole capacità di raccontare storie complesse e coinvolgenti. Tuttavia, con “El Jockey”, sembra trovarsi in una fase di transizione, dove l’accumulo di stili e influenze varie non riesce a coagulare un messaggio chiaro e incisivo. La bellezza dell’amore e della felicità viene solo accennata, senza mai esplorare a fondo la loro vera essenza. Non è frustrante quando un film tocca solo la superficie di temi così profondi?
In definitiva, “El Jockey” si presenta come un’opera ambiziosa ma imperfetta, oscillando tra il desiderio di innovare e la tentazione di conformarsi. La performance di Nahuel Pérez Biscayart nel ruolo di Remo è uno dei punti forti del film, riuscendo a trasmettere il tormento e la vulnerabilità del suo personaggio. La pellicola invita a riflettere sulla complessità dell’identità umana, ma al contempo lascia una sensazione di incompletezza. La critica si interroga quindi su quale direzione prenderà Luis Ortega nel suo prossimo progetto e se avrà il coraggio di abbracciare completamente la sua visione artistica, liberandosi dalle influenze stilistiche che potrebbero limitarne l’espressione. Che ne pensi, riuscirà a trovare la sua strada?