Shayda: un film che esplora la resilienza delle donne iraniane

Una madre e una figlia in cerca di libertà: Shayda esplora temi di resilienza e ribellione contro un sistema oppressivo.

Shayda è un’opera prima di Noora Niasari che colpisce per la sua forte componente autobiografica, offrendo uno sguardo penetrante sulla complessità della vita di una madre e di una figlia immersa nella comunità iraniana in Australia. La storia di Shayda, interpretata magistralmente da Zar Amir Ebrahimi, si snoda tra le difficoltà di un matrimonio violento e la determinazione di una madre di proteggere la propria figlia, Mona. Questo film, che ha conquistato il premio Audience Award al Sundance Film Festival 2023, non si limita a raccontare una storia personale, ma diventa un simbolo di ribellione contro un sistema oppressivo.

Una narrazione intensa e personale

Il film si apre con una scena che cattura subito l’attenzione: Shayda, madre di Mona, deve affrontare un padre violento che cerca di riprendersi la figlia. Attraverso una serie di flashback e scene di vita quotidiana, la regista riesce a trasmettere l’intensità emotiva della lotta di Shayda. La tensione cresce in un contesto familiare dove gli sguardi minacciosi degli iraniani emigrati in Australia creano un’atmosfera di paranoia, ma anche nelle interazioni legali che Shayda deve affrontare per ottenere il divorzio. Ti sei mai chiesto quanto possa essere opprimente una situazione del genere?

Il formato claustrofobico del film amplifica il senso di oppressione e vulnerabilità. Shayda, mentre cerca di garantire un futuro migliore per sua figlia, si trova intrappolata tra l’amore per la sua cultura e il desiderio di libertà. La frase “io non ho paura” diventa un mantra che risuona nell’anima di entrambe, rappresentando la loro resilienza di fronte alle avversità. È una lotta che molti possono riconoscere, non credi?

Temi di resilienza e liberazione

Un altro aspetto degno di nota nel film è l’importanza della cultura e delle tradizioni iraniane, celebrate attraverso eventi come il Nowruz, il Capodanno Persiano. In questa occasione, Shayda esprime le sue emozioni represse in una danza liberatoria, sottolineando il contrasto tra la sua vita quotidiana e la bellezza della sua cultura. Tuttavia, il film non si limita a mostrare la gioia; evidenzia anche le conseguenze della violenza domestica e l’angoscia che accompagna ogni incontro tra Mona e il padre. Ti sei mai chiesto come la cultura possa diventare una via di fuga e, al contempo, una fonte di dolore?

Le dinamiche relazionali vengono ulteriormente esplorate attraverso il rapporto di Shayda con Farhad, un amico che si inserisce nel suo mondo in modo complesso. Mentre la loro connessione è profonda, il film riesce a mantenere un equilibrio, mostrando sia la bellezza dell’amicizia che le sfide che comporta in un contesto di oppressione. Quali legami si formano in situazioni difficili? Questo film ce lo mostra in modo toccante.

Un finale che lascia il segno

Il finale di Shayda ricorda da vicino opere come “Una separazione” di Asghar Farhadi, dove le scelte difficili sono una costante. La regista Niasari riesce a trasmettere un messaggio potente: la lotta per la libertà e l’autenticità è universale e continua. Nonostante le semplificazioni in alcune parti della narrazione, l’interpretazione di Zar Amir Ebrahimi riesce a elevare il film, rendendolo un’esperienza coinvolgente e commovente. Ti sei mai trovato di fronte a scelte che definiscono la tua vita?

La dedica della regista a tutte le donne iraniane che non hanno paura di affrontare il sistema è un richiamo alla speranza e alla resilienza. Shayda rappresenta non solo una storia individuale, ma un inno alla libertà e alla perseveranza delle donne in ogni parte del mondo. Con una durata di 117 minuti, il film si presenta come un’opera significativa che invita alla riflessione e alla comprensione delle sfide affrontate da chi vive sotto oppressione. Vale davvero la pena vederlo, non credi?

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