Volveréis: il film che celebra la separazione con ironia e disincanto

Un'analisi di Volveréis, dove la separazione diventa un viaggio introspectivo.

In un mondo dove le relazioni sembrano sgretolarsi più velocemente di un castello di sabbia, si erge un film che sfida le convenzioni, un film che si chiama Volveréis. A chi interessa la drammaticità del divorzio quando puoi semplicemente organizzare una festa per annunciare la tua separazione? È così che Ale e Alex, dopo quindici lunghi anni, decidono di dirsi addio. Ma non senza prima passare attraverso una serie di preparativi per questo evento che, a ben vedere, è quasi un funerale dell’amore. E allora, chi ha bisogno di conflitti e grida quando si può semplicemente sorseggiare un cocktail e sorridere?

Un addio senza rancore

Ma davvero si può separarsi senza smettere di volersi bene? Questa è la domanda che aleggia nella mente dello spettatore, mentre i due protagonisti si confrontano con la loro storia. In un ambiente che si muove tra ricordi e nuove prospettive, Volveréis riesce a dipingere un quadro meno drammatico e più realistico delle relazioni moderne. In un’epoca in cui si è abituati a vedere separazioni accompagnate da battaglie legali con il fuoco e fiamme, Trueba opta per un approccio più sobrio e riflessivo. Ma il cinema, si sa, è un riflesso della società e, ahimè, non sempre è così semplice.

Il cinema e la separazione

Se guardiamo alla storia del cinema, ci sono innumerevoli film che si sono cimentati nel tema della separazione. Da Kramer contro Kramer a La guerra dei Roses, il divorzio è stato spesso rappresentato come un campo di battaglia. Ma oggi? Oggi abbiamo Storia di un matrimonio, che ha portato una ventata di freschezza, affrontando il dolore e la complessità della rottura con una sensibilità che fa rabbrividire. E qui entra in gioco Volveréis, con il suo umorismo e la sua delicatezza. Non più urla e insulti, ma un’osservazione acuta delle dinamiche relazionali che ci fanno riflettere e, perché no, anche ridere.

Un viaggio nel profondo

Il personaggio di Itsaso Arana riporta alla mente le protagoniste di Greta Gerwig, portando sullo schermo un’inarrestabile introspezione. Le sue pause, le smorfie, i piccoli gesti sembrano raccontare più di mille parole. Come se il film stesso fosse un grande dialogo interiore, un ascolto più che un’azione. Un cinema che si ferma, che si prende il suo tempo per esplorare le emozioni, e in questa esplorazione emerge la bellezza e la fragilità dell’amore. La ciclicità dei dialoghi tra Ale e Alex, che si ripetono come un mantra, fa eco a quel pensiero di Kierkegaard: l’amore della ripetizione è l’unico amore felice. Ah, la beata sicurezza!

La chiave di Volveréis

In un momento cruciale, il padre della protagonista, interpretato dall’iper-realista Fernando Trueba, esprime una verità che risuona come un colpo di tamburo: le sensazioni, la fede e la sofferenza sono ciò che conta davvero. Qui, Trueba si distacca dalla razionalizzazione dei sentimenti, abbracciando un’esperienza più autentica e cruda. Il film non è solo analisi, ma un vero vivido vissuto che invita lo spettatore a riflettere. E infine, si pone la stessa domanda che ha afflitto generazioni: si può davvero amare qualcuno senza voler vivere insieme?

Volveréis non offre risposte facili, ma piuttosto un viaggio attraverso le emozioni e le contraddizioni dell’essere umano. E in questo viaggio, che è sia doloroso che liberatorio, il cinema trova la sua essenza più pura. Perché, alla fine, non è solo una storia di separazione, ma un affresco della complessità dell’amore, un amore che si evolve, che si trasforma, che non sempre ha bisogno di un lieto fine. E chissà, forse è proprio questo che rende la vita così dannatamente affascinante.

Scritto da Staff

Alexander Payne: il regista che mescola la vita con il disastro al Locarno Film Festival

007 – First Light: il ritorno di James Bond in un videogioco deludente