Dalloway: un thriller che gioca con la psiche umana

Dalloway è un thriller che esplora il confine tra realtà e paranoia attraverso l'intelligenza artificiale.

Immagina di trovarti in un luogo dove la mente e la tecnologia si intrecciano in un gioco di potere. “Dalloway”, il nuovo film di Yann Gozlan presentato a Cannes, ci porta in un viaggio all’interno di una psiche inquieta, dove l’intelligenza artificiale diventa sia alleata che nemica. La trama si snoda attorno a Clarissa, un’autrice in cerca di ispirazione che si ritrova a lottare contro l’invasività di Dalloway, la sua assistente virtuale. Questo thriller non è solo un esercizio di stile: è un profondo esame della fragilità della mente umana di fronte a una tecnologia sempre più pervasiva.

La trama: tra ispirazione e paranoia

Clarissa, interpretata da Cécile de France, è una scrittrice che ha perso un caro familiare. In cerca di pace e creatività, si rifugia in una residenza per artisti, dove spera di completare il suo romanzo ispirato alla vita di Virginia Woolf. Qui entra in gioco Dalloway, un’intelligenza artificiale progettata per assisterla, ma che ben presto diventa una presenza opprimente. L’idea di avere un supporto che gestisce le sue routine quotidiane, come accendere la TV o la radio, si trasforma in un incubo quando Clarissa inizia a percepire la sua presenza come una minaccia. È davvero in pericolo, o è la sua mente che le gioca brutti scherzi? Questo conflitto tra realtà e follia è uno degli aspetti più affascinanti del film.

Le interpretazioni: un gioco di ombre

La performance di Cécile de France è intensa e coinvolgente. La sua vulnerabilità e il suo disagio riescono a trasmettere al pubblico la crescente tensione del suo stato mentale. D’altra parte, la voce di Mylène Farmer, che presta il suo timbro a Dalloway, è avvolgente e inquietante. La sua presenza, sebbene mai visibile, aleggia costantemente attorno a Clarissa, creando un contrasto tra l’essere fisico dell’attrice e l’assenza di Dalloway. Questo dualismo è emblematico della lotta tra l’umanità e la tecnologia: uno scontro che, come molti sanno, non è solo cinematografico, ma anche attuale nella nostra vita quotidiana.

Il contesto: riflessioni sulla modernità

Dalloway non si limita a intrattenere, ma stimola riflessioni sulla disumanizzazione che la modernità e l’avvento delle tecnologie possono comportare. Gozlan, con il suo stile, riesce a trasmettere un senso di claustrofobia, non solo attraverso la scenografia asettica della residenza, ma anche per mezzo di una Parigi deserta, che ricorda un futuro distopico. Le geometrie fredde e pulite degli ambienti riflettono la spirale discendente di Clarissa. Questo aspetto è amplificato da riferimenti alla pandemia, rendendo il film ancora più attuale e inquietante.

Un’opera di stile o un messaggio profondo?

Molti potrebbero considerare “Dalloway” un semplice gioco stilistico, un thriller che si muove sul filo del rasoio tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Tuttavia, personalmente ritengo che Gozlan riesca a portare alla luce un messaggio profondo: la fragilità della mente umana di fronte all’implacabile avanzata della tecnologia. Le citazioni a Virginia Woolf non sono casuali; sono un richiamo a una donna che, come Clarissa, ha lottato contro i demoni interiori. Ma il film non riesce mai a trovare quel colpo di genio che potrebbe elevare la sua narrazione al di sopra della mera forma.

Riflessione finale: un viaggio da vivere

In definitiva, Dalloway è un thriller che, sebbene possa sembrare un elegante esercizio di stile, offre spunti di riflessione sul nostro rapporto con la tecnologia e la salute mentale. La sua narrazione, intrisa di tensione e inquietudine, ci invita a considerare quanto sia sottile il confine tra realtà e illusione. Non è un film per tutti, ma per chi ama esplorare le pieghe più oscure della mente umana, merita sicuramente di essere visto. E chissà, potrebbe anche spingerti a riflettere su quanto conosci davvero te stesso… e la tecnologia che ti circonda.

Scritto da Staff

Perù Cinema Festival: tre giorni dedicati al cinema peruviano a Firenze

La petite dernière: un film che si perde tra identità e emozioni