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Il cinema è un riflesso della vita, ma cosa succede quando il riflesso è sfocato? La petite dernière, diretto da Hafsia Herzi e basato sul pluripremiato romanzo di Fatima Daas, cerca di esplorare il complesso mondo dell’identità, della fede e dell’amore nella vita di una giovane musulmana. Tuttavia, il film sembra perdersi in una narrazione che non riesce a catturare l’intensità del romanzo originale, lasciando il pubblico con una sensazione di incompiuto. Ricordo quando ho visto i primi trailer e ho pensato: ‘Questo potrebbe essere un film da non perdere’. Eppure, alla fine, la delusione ha preso il sopravvento.
La trama e i personaggi
Fatima, interpretata da Nadia Melliti, è una giovane di 17 anni cresciuta in una famiglia di immigrati algerini nella periferia di Parigi. La sua storia è quella di una ragazza in cerca di sé stessa, divisa tra le aspettative familiari e il desiderio di vivere la propria vita. La narrazione si sviluppa attorno alla sua duplice identità: da un lato, è Fatima, la figlia devota; dall’altro, Jasmine, il suo alter ego nell’app di incontri. Questo conflitto interiore è il fulcro del film, ma nonostante le potenzialità, la regista non riesce a trasmettere il dramma emotivo che caratterizza il romanzo. La rappresentazione di Fatima è superficiale, senza approfondire le sue lotte interiori in modo convincente. Ci sono momenti in cui ci si aspetterebbe una maggiore introspezione, ma il film resta in superficie, come una fotografia che non riesce a mettere a fuoco il soggetto.
Un’analisi visiva
La regia di Herzi si presenta con scelte visive che tentano di evocare emozioni, ma spesso cadono nel cliché. L’uso di primi piani e l’accento sulle lacrime di Fatima sono innegabilmente potenti, ma mancano di quella profonda empatia necessaria per coinvolgere il pubblico. Infatti, l’emozione appare forzata, quasi come se la cineasta stesse cercando di seguire una formula piuttosto che di esprimere un vero sentimento. Ci sono sequenze che richiamano il cinema di Kechiche, ma senza l’intensità e la passione che caratterizzano le sue opere. La petite dernière si avvicina a momenti di dolcezza e fragilità, ma finisce per essere un miscuglio di immagini e situazioni che non si amalgamano in un messaggio coerente.
Temi centrali e rappresentazione
Il film affronta temi complessi come l’emancipazione, la ricerca dell’identità e la fede, ma lo fa in modo superficiale. Fatima si trova a fronteggiare le aspettative della madre e della cultura in cui è cresciuta, ma la sua lotta interna non viene esplorata in profondità. La rappresentazione della sua vita familiare è ridotta a scene di cucina, che, sebbene ricche di significato, non riescono a trasmettere il peso del conflitto interiore. La relazione con Ji-na, la giovane infermiera di origine coreana, potrebbe essere un punto di svolta nella sua vita, ma viene trattata in modo frettoloso, quasi come un accessorio piuttosto che come un elemento centrale della trama. A questo punto, mi sono chiesto: è possibile realmente esplorare la complessità dell’identità senza un adeguato sviluppo dei personaggi?
Conclusioni personali
La petite dernière si presenta come un’opera che ambisce a raccontare una storia di emancipazione e scoperta, ma finisce per essere una pellicola che non riesce a superare le aspettative. La furbizia di alcune scelte narrative risulta evidente, lasciando il pubblico con un senso di vuoto. Personalmente, ritengo che il film avrebbe potuto trarre vantaggio da una maggiore attenzione ai dettagli emotivi e ai conflitti interiori dei personaggi. La storia di Fatima è importante e meriterebbe un trattamento più profondo e rispettoso. In un’epoca in cui il cinema può essere una potente piattaforma per la rappresentazione di identità e culture, La petite dernière sembra aver perso l’occasione di brillare.