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Quando si parla di cinema, ci sono film che riescono a catturare il pubblico con una narrazione avvincente e altri che, invece, restano in bilico tra il serio e il faceto. ‘Cannes 78’, l’ultima fatica di Rebecca Zlotowski, si colloca in quest’ultima categoria. La pellicola, incentrata sulla figura di Lilian Steiner, interpretata dalla straordinaria Jodie Foster, si propone di esplorare l’alienazione mentale della protagonista, ma lo fa in modo a tratti confuso e vacillante.
Il ritorno di Jodie Foster nel ruolo di psichiatra
Foster, reduce da un successo clamoroso con ‘True Detective: Night Country’, torna sul grande schermo nei panni di una psichiatra che inizia a indagare sul suicidio di una sua paziente, Paula. Ma non è solo il mistero da risolvere che tiene il pubblico con il fiato sospeso; è anche il viaggio interiore di Lilian, che la porterà a confrontarsi con i fantasmi del suo passato e le sue relazioni. I temi dell’amore, dell’abbandono e della ricerca di sé si intrecciano in modo complesso, ma a volte superficiale. La regista sembra voler dire molto, ma finisce per non affondare mai il colpo.
Un mix di comicità e dramma psicologico
La pellicola si presenta come un ibrido tra commedia e dramma psicologico. Con un cast che include nomi noti come Virginie Efira e Mathieu Amalric, Zlotowski tenta di far emergere una comicità che nasce dalle situazioni grottesche e dalle espressioni facciali degli attori. Ma, ahimè, il risultato è spesso deludente. I momenti comici sembrano forzati e le gag, pur divertenti, non riescono a creare una connessione profonda con il pubblico. Ci si aspetterebbe una maggiore introspezione nei personaggi, ma le loro storie rimangono a un livello superficiale, mancando di quell’afflato che potrebbe renderle memorabili.
Un’inchiesta lacunosa e confusa
Il fulcro del film è l’inchiesta sulla morte della paziente, ma qui Zlotowski si perde in una narrazione che appare poco coordinata. Le piste lasciate in sospeso e i dialoghi poco incisivi non riescono a generare la tensione necessaria. È come se la regista, pur avendo buone intenzioni, non sapesse come portare avanti la sua visione. ‘Cannes 78’ si presenta come un’opera incompleta, che si limita a sfiorare le tematiche senza mai approfondirle realmente. L’ambiguità e il conflitto interiore dei personaggi svaniscono, lasciando il pubblico con un senso di insoddisfazione.
Ritmi blandi e una struttura instabile
I ritmi del film sono piuttosto lenti, e i momenti di romanticismo, sebbene presenti, appaiono meno incisivi rispetto ad altre opere recenti. La presenza di un’ipnotista, che conduce Lilian in un viaggio nel suo passato, aggiunge un tocco di originalità, ma non basta a salvare la baracca. Anche l’uso dell’intelligenza artificiale per rappresentare scene oniriche non riesce a dare stabilità a una narrazione che, per definizione, dovrebbe essere più coesa.
Una riflessione finale
In fondo, ‘Cannes 78′ è una sorta di esperimento, una commedia psicologica che, pur avendo le potenzialità per essere un successo, fatica a trovare il proprio equilibrio. La pellicola lascia nel pubblico una sensazione di incompiuto, un po’ come la canzone dei Talking Heads, che suggerisce come si possa iniziare una conversazione senza mai giungere a una conclusione. È un film che, a mio avviso, potrebbe aver avuto bisogno di una revisione più attenta, di un lavoro di cesello che potesse rendere i suoi messaggi più chiari e incisivi.