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Romería è un film che si presenta come un viaggio intimo e profondo, dove la protagonista, Marina Piñeiro, si trova a dover affrontare non solo il suo passato, ma anche i legami familiari che sembrano sfuggirle. La pellicola, diretta da Carla Simón, è un’opera che riesce a mescolare il thriller con la delicatezza dei legami umani, mentre si fa strada tra le onde del tempo e della memoria. È un racconto che non si limita a rivelare segreti, ma invita anche lo spettatore a riflettere su cosa significhi realmente appartenere a una famiglia.
Un viaggio tra passato e presente
Il film si svolge tra la metà degli anni Ottanta e il 2004, un arco temporale che permette di esplorare i ricordi attraverso quaderni, fotografie e le voci interiori di Marina. La giovane, adottata durante l’infanzia, ha bisogno di un documento di stato civile per ottenere una borsa di studio. Ma per ottenerlo, è costretta a cercare i suoi nonni materni, personaggi che ha sempre sentito lontani. Questo viaggio la porta sulla costa atlantica a Vigo, dove incontra non solo i nonni, ma anche il resto della sua famiglia. Qui, ogni interazione riporta a galla memorie sopite e dettagli inediti sulla morte del padre, creando un’atmosfera densa di emozione e mistero.
Una narrazione frammentata
Romería si distingue per la sua narrazione volutamente frammentata, in cui Carla Simón sembra voler ricercare una forma di espressione visiva che rispecchi la confusione e il tumulto emotivo della protagonista. Marina, interpretata da Llúcia Garcia, si destreggia tra le pagine del diario della madre, cercando di dare un senso alle esperienze che l’hanno plasmata. Ma la regista, pur avendo alle spalle esperienze personali significative (come la perdita dei genitori a causa dell’AIDS), non riesce a mantenere la giusta distanza emotiva. Questo manca di rendere lo spettatore partecipe della storia, lasciandolo a osservare con una certa estraneità i conflitti familiari che si dipanano sullo schermo.
Un’estetica onirica e metaforica
Dal punto di vista visivo, il film si avvale della fotografia di Hélène Louvart, la quale riesce a catturare la bellezza del paesaggio senza però interagire in modo significativo con la narrazione. Le immagini, a volte oniriche e metaforiche, come quella di un gatto su una barca in mezzo al mare, sembrano voler suggerire un legame tra passato e presente, ma spesso risultano confuse. La luce e i colori, pur bellissimi, sembrano riflettere un mondo che non riesce a comunicare con la trama, lasciando il pubblico in una sorta di limbo visivo e narrativo.
Tematiche di lutto e disgregazione familiare
Carla Simón, dopo il successo di Estate 1993 e Alcarràs, torna a esplorare i temi del lutto e della disgregazione familiare. Tuttavia, a differenza delle sue opere precedenti, Romería perde la misura e scivola in ritratti di famiglia che, pur essendo toccanti, risultano talvolta appassiti. I personaggi, che dovrebbero rappresentare un contrasto alla vita di Marina, rimangono ai margini della narrazione, riducendo la potenzialità di immedesimazione con lo spettatore. La ricerca di Marina, che dovrebbe essere un viaggio di scoperta e riconciliazione, si trasforma in un percorso di estraneità, in cui il pubblico si sente spettatore di una storia che non riesce a coinvolgerlo completamente.
Conclusioni aperte e riflessioni personali
Il finale di Romería lascia lo spettatore con domande irrisolte e riflessioni sul significato di famiglia e identità. Ma cosa significa davvero essere parte di una famiglia? La risposta rimane sfuggente, proprio come Marina che, alla fine del suo viaggio, si riconosce in una dimensione di incertezza. A mio avviso, questo è il vero punto di forza del film: la sua capacità di porre interrogativi senza fornire risposte facili. In un mondo dove tutto sembra avere una soluzione immediata, Romería ci ricorda che alcuni viaggi interiori sono complessi e non sempre lineari.