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In un’epoca in cui la violenza e l’ingiustizia sembrano regnare sovrane, il film “Yes” di Nadav Lapid si erge come un potente manifesto di rabbia e sfida. Ambientato in un contesto di apparente festa e superficialità, il film ci mostra la vita di Y. e Jasmine, due artisti che, intrappolati in una spirale di eccessi, tentano di ignorare l’orrore che si consuma al di fuori delle loro esistenze. Ma cosa succede quando la realtà esplode in faccia ai protagonisti? Questo film, presentato alla Quinzaine des Cinéastes di Cannes, non è solo un racconto di vita, è un urlo disperato contro un sistema che ignora la sofferenza dei più vulnerabili.
Una vita di eccessi e indifferenza
Y. e Jasmine, un musicista jazz e una ballerina, vivono in un mondo dorato, fatto di feste esclusive e relazioni superficiali. Inizialmente, sembrano godere di una libertà illusoria, ma la loro vita è una facciata che nasconde un profondo disagio. In un party frenetico, Y. si abbandona a comportamenti sempre più estremi, ballando e mimando gesti provocatori. Ma dietro a questa facciata di divertimento si cela una realtà ben più agghiacciante, fatta di frustrazione e rabbia.
Il contrasto tra festa e guerra
Il film si apre con una sequenza che cattura immediatamente l’attenzione: un party dove la musica a tutto volume tenta di coprire i rumori del conflitto che infuria a Gaza. L’energia opprimente della festa si scontra con la triste realtà di una guerra che devasta vite innocenti. Y. e Jasmine ballano come se nulla stesse accadendo, ma il loro comportamento diventa sempre più autolesionista, un modo per sfuggire alla realtà. La scena in cui un generale israeliano intona una canzone patriottica mentre Y. urla in segno di protesta è emblematica: il rifiuto della sottomissione diventa, paradossalmente, una forma di acquiescenza.
Un attacco alla coscienza collettiva
“Yes” non è solo un film, ma un attacco diretto alla coscienza collettiva di un’intera nazione. Lapid non si limita a mostrare la superficialità dei suoi protagonisti; invita gli spettatori a riflettere sulla responsabilità di tutti coloro che, come Y. e Jasmine, scelgono di ignorare la realtà. La frenesia della loro vita quotidiana diventa una metafora dell’ipocrisia di una società che finge di non vedere. La musica assordante e le immagini disturbanti si intrecciano creando un’atmosfera claustrofobica, un grido di dolore che rimbalza contro le pareti della villa in cui si svolge la festa.
Rabbia e vulnerabilità
La vulnerabilità dei protagonisti emerge in modo potente attraverso le loro interazioni. Il film non risparmia nessuno, mostrando la fragilità delle relazioni in un contesto di conflitto e violenza. Y. è descritto come una figura priva di carattere, incapace di prendere una posizione chiara. In contrasto, Leah, una vecchia amica, incarna l’impegno e la dissidenza. Questo confronto mette in evidenza quanto sia difficile, e talvolta pericoloso, opporsi all’ingiustizia. Lapid non offre risposte facili; piuttosto, presenta una realtà complessa che costringe a riflettere.
Il potere della rappresentazione
Un aspetto cruciale di “Yes” è il modo in cui Lapid utilizza il cinema come strumento di denuncia. Le scene sono costruite con un’energia visiva che rispecchia la frustrazione e la rabbia dei personaggi. La macchina da presa si muove freneticamente, creando un senso di caos che riflette l’instabilità del mondo esterno. Ogni inquadratura è una ferita aperta, un’espressione di dolore e indignazione. Eppure, nonostante la brutalità della rappresentazione, c’è una bellezza intrinseca in questa ricerca di verità.
Un futuro incerto
In ultima analisi, “Yes” è un film che lascia il pubblico con più domande che risposte. La sfida è quella di affrontare la realtà senza ignorarla, di riconoscere il dolore degli altri e di non cedere alla tentazione di chiudere gli occhi. Lapid ci invita a guardare oltre le feste e i sorrisi forzati, a esplorare le profondità della nostra coscienza. In un mondo in cui la musica può mascherare l’orrore, la vera sfida è trovare il coraggio di ascoltare il grido di aiuto che risuona al di là della festa.