Scopri come Eleanor the Great affronta la tragedia dell'Olocausto con un mix di ironia e profondità emotiva.
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Quando si parla di cinema, ci sono esordi che lasciano il segno e altri che si perdono nel limbo delle produzioni dimenticabili. Con “Eleanor the Great”, Scarlett Johansson si presenta alla regia con un’opera che, pur con alcune incertezze, riesce a catturare l’attenzione. La scelta di affrontare un tema delicato come l’Olocausto attraverso uno sguardo originale e personale è audace e, in un certo senso, provocatoria.
Invece di utilizzare immagini strazianti o flashback drammatici, Johansson opta per un approccio più sobrio, concentrandosi sulla narrazione orale. La storia di Eleanor, 94 anni, è quella di una donna che si confronta con il dolore della perdita e il peso del passato. La sua migliore amica, Bessie, ha portato con sé gli strascichi di un’esperienza traumatica, eppure il film non si limita a rappresentare il lutto, ma esplora come i traumi influenzano le relazioni quotidiane. Quante volte ci siamo chiesti come il passato plasmi le nostre interazioni attuali? Beh, questo film offre una risposta affascinante.
Il fulcro della narrazione è interpretato da June Squibb, che con la sua performance vivace e intensa riesce a rendere Eleanor un personaggio memorabile. Ogni scena con lei è un piccolo regalo: ricordo quando, assistendo a un suo scambio di battute al supermercato, ho riso a crepapelle. Johansson, da regista, riesce a tirare fuori il meglio dalla sua protagonista, creando momenti che oscillano tra il comico e il tragico, talvolta lasciandoci con un sorriso amaro.
Ma quanto può durare una menzogna? La dinamica tra Eleanor e Nina, una giovane studentessa di giornalismo, è al centro di questo interrogativo. Nina, figlia di un noto conduttore televisivo, diventa amica di Eleanor, attratta dalla sua storia, che in realtà non è sua. Qui si insinua un cinismo sottile: la ricerca dell’autenticità in un mondo dove tutti sembrano indossare una maschera. Questo tema è trattato con delicatezza, senza mai cadere nel cliché dell’indagine psicologica profonda. La grazia della sceneggiatura sta proprio nella sua capacità di farci ridere e riflettere contemporaneamente.
Il film presenta momenti toccanti, come il rapporto tra Nina e suo padre, interpretato da Chiwetel Ejiofor. Tuttavia, la parte drammatica, purtroppo, risulta meno incisiva rispetto a quella comica. Si percepisce una certa fretta nel dipingere le relazioni, lasciando alcune dinamiche poco esplorate. Ma d’altronde, non è un po’ questo il bello del cinema? La possibilità di interpretare e reinterpretare le emozioni, di lasciarci con un po’ di inquietudine, di farci domandare cosa c’è dietro le quinte delle vite altrui?
“Eleanor the Great” è un film che cerca il suo equilibrio, ma già mostra potenzialità per il futuro di Johansson alla regia. La sua attenzione ai dettagli, come le fotografie che rimandano al passato, è un elemento ricorrente che potrebbe diventare il suo marchio di fabbrica. Personalmente, sono curioso di vedere come questa nuova voce cinematografica evolverà nei prossimi progetti. Cosa ne pensate? È possibile che il suo sguardo unico ci regali altre storie affascinanti in futuro?