Civil War: il collasso americano raccontato da Alex Garland

Un gruppo di giornalisti e fotoreporter documenta una nuova guerra civile americana.

Dopo l’horror Men (2022), Alex Garland torna al cinema con un film dal forte impatto visivo ed emotivo. Civil War offre uno sguardo pungente e spietato su un’America divisa e in guerra. Al cinema dal 18 aprile.

Civil War: trama

L’America è dilaniata dalla guerra civile, che vede schierati da una parte il governo di Washington e dall’altra le forze secessioniste, guidate dagli Stati del Texas e della California. Mentre il presidente (Nick Offerman) è rintanato alla Casa Bianca, per le strade si diffonde il caos. Un piccolo gruppo di giornalisti e fotoreporter, composto da Lee (Kirsten Dunst), Joel (Wagner Moura), l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane ma talentuosa Jessie (Cailee Spaeny), attraversa il Paese per documentare ciò che sta accadendo.

Gli orrori di una guerra plausibile

Cosa succederebbe se gli Stati Uniti non fossero più uniti? L’autore di Ex Machina immagina una realtà non troppo inverosimile in cui l’America è spaccata in due: il governo dittatoriale è inerme davanti alla secessione delle “forze occidentali”. Viene messo in discussione il vero significato dell’essere americano, operazione che il regista inglese attua attraverso uno sguardo esterno, distaccato e duro. Non importa tanto da cosa sia partito lo scontro civile, quali siano le motivazioni, le tempistiche o gli eventi scatenanti. Civil War inizia in medias res e porta lo spettatore direttamente all’interno del conflitto. Il punto di forza del film di Garland è proprio la narrazione. Non si tratta di un semplice lungometraggio sulla guerra o di un banale film su un futuro distopico, ma, attraverso il racconto degli orrori che lacerano il Paese, Garland fa riflettere sull’importanza di prendere una posizione e sulla violenza del conflitto. Il film si regge sulla scrittura profonda dei personaggi e sulla potenza della messa in scena. Il regista mostra la brutalità e la confusione del conflitto, ricercando anche delle immagini che riportano al ricordo di un mondo sereno e pacifico. Attraverso gli occhi della protagonista, interpretata da una bravissima Kirsten Dunst, inflessibile ma a pezzi, Garland mostra la ricerca di normalità e dolcezza nelle piccole cose. Anche se il mondo circostante è spietato e fuori controllo, anche se uno sconosciuto sta sparando a chiunque passi accanto alla sua casa, è l’immagine dei fiori di campo che tiene viva la protagonista, perché non sia lei stessa a perdere la ragione.

Le inquadrature armoniche e intense restituiscono bellezza anche nel mezzo della brutalità del conflitto. Il regista, inoltre, costruisce tensione anche grazie al sound mixing e alla musica, che costituiscono una colonna sonora estremamente curata e straniante.

L’etica della fotografia

Garland sceglie come protagonista una fotoreporter di guerra. I fotografi seguono coraggiosamente tutti i movimenti dei combattenti, sono in prima linea accanto a loro, muniti solo di macchina fotografica e rullini. Appare evidente, in questo modo, il parallelismo tra lo scattare e lo sparare – in inglese, tra l’altro, condensati entrambi nel verbo to shoot. In mezzo alle armi da fuoco, i fotografi premono il loro “grilletto” immortalando l’efferatezza della guerra. Riprendendo il pensiero della scrittrice e filosofa Susan Sontag, la macchina fotografica è essa stessa un’arma, poiché l’aggressione è implicita all’interno del mezzo. Garland riflette così non solo sul “non intervento” di chi scatta rispetto a ciò a cui sta assistendo, ma soprattutto sul valore etico della fotografia. Sempre secondo Sontag, la continua visione di immagini che ritraggono la sofferenza intorpidisce la nostra percezione del dolore di fronte ad esse. Come se fossimo assuefatti, come se ormai avessimo normalizzato la violenza che ci circonda attraverso le immagini che ce la mostrano in continuazione. La proliferazione di queste indebolisce la forza delle fotografie e rinforza l’instaurazione di un rapporto voyeuristico cronico con il mondo. In Civil War è la stessa protagonista ad affermare amareggiata: “Ho sempre pensato di mandare un monito a casa con le mie fotografie”. Garland riflette dunque sul significato e sulla potenza delle immagini e sull’impatto che esse hanno sul pubblico.

Alex Garland scrive e dirige un film dalla messa in scena estremamente potente: Civil War è un vero e proprio monito su un futuro possibile di ferocia e violenza. Scritto ancora prima dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, il film in qualche modo prevede e ammonisce lo spettatore, restituendo allo stesso tempo un’esperienza cinematografica incredibilmente intensa. Al cinema dal 18 aprile.

Scritto da Sofia Granata

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